Solo alcune immagini dei migranti accampati nella neve e le coraggiose inchieste di alcuni cronisti, come Nello Scavo di Avvenire, hanno alzato il velo sulle migliaia di persone che cercano disperatamente di entrare nell'Unione europea passando per i Balcani. Una serie di barriere e violenze impressionanti hanno creato una catena di scaricabarile, nel silenzio assordante delle coscienze.
Avete presente il vecchio caro gioco che abbiamo fatto tutti da bambini e che resiste al tempo e alle consolle di turno? Sì, mi riferisco al gioco dell’oca. Un passatempo divertente, in cui la vittoria è consegnata a chi taglia per primo il traguardo. Sulla strada verso la casella “arrivo” ci sono mine e ostacoli, come quella in cui non si vorrebbe mai imbattersi: “Ritorna all’inizio”.
Per fortuna è solo un gioco e tutto finisce lì. Non così per i migranti che da Oriente cercano di entrare tra le mura rassicuranti dell'Europa.
Vengono da Siria, Afghanistan, Iraq, Iran, Pakistan, Bangladesh e fuggono da persecuzioni e conflitti pluriennali. Lungo tutta la rotta subiscono violenze, torture, respingimenti e restrizioni arbitrarie.
«Da Kabul a Trieste sono 4mila chilometri» scrive in uno dei suoi tanti reportage l’inviato speciale di Avvenire, Nello Scavo.
«Da qui il villaggio di casa è lontano, la guerra anche. C’è chi l’ultimo tratto lo ha percorso cinque volte. Perché acciuffato dagli agenti sloveni, infine riportato in Bosnia dopo una lezione della polizia croata. E c’è chi a Trieste invece c’era quasi arrivato, ma è stato colto dalla polizia italiana sulla fascia di confine, e poco dopo “riammesso” in Slovenia, come prevede un vecchio accordo tra Roma e Lubiana siglato quando implodeva la ex Jugoslavia».
«Velika Kladuša è il valico della paura» scrive ancora Nello Scavo.
«Di qua è Croazia, Europa. Di là è Bosnia, fuori dalla cortina Ue. Di qua si proclamano i diritti, ma si usa il bastone. Oramai tra i profughi della rotta balcanica tutti sanno che con gli agenti sloveni e gli sbirri croati non si scherza». È un infernale gioco dell'oca.
Quando sembra di avere valicato i confini dell’Europa, prima in Croazia, poi in Slovenia e infine in Italia, comincia il gioco dei respingimenti, quasi sempre senza nessun provvedimento amministrativo: le nostre guardie di frontiera rimandano indietro i migranti che devono ripiegare in Slovenia e poi, a ritroso, in Croazia, dove è stata documentata la presenza di gendarmi picchiatori.
E poi si ritorna al via, cioè alla Bosnia Erzegovina, un Paese che non ha ancora superato le lacerazioni della guerra del 1992-1995 e gli accordi di pace che hanno lasciato uno Stato frammentato e ingovernabile, dove diventa inevitabile assistere all’ennesima guerra tra poveri.
Negli ultimi tre anni l'Unione europea ha messo a disposizione della Bosnia ed Erzegovina oltre 88 milioni di euro in fondi di assistenza per migliorare la gestione dei flussi migratori. Ciò nonostante, circa 2.500 migranti e richiedenti asilo, tra cui 900 ospiti del campo provvisorio di Lipa, restano senza riparo e al gelo. Al freddo del clima ostile e dell’inverno della nostra indifferenza.
Cuore Amico vuole dare il proprio supporto aiutando chi è impegnato in prima persona in questa emergenza.
Come Daniele Bombardi, volontario della Caritas italiana nei Balcani, che sta facendo fronte alle terribili condizioni in cui vivono i migranti della zona di Bihac, in Bosnia ed Erzegovina. All'indomani della chiusura del campo profughi provvisorio “Lipa”, migliaia di migranti si trovano a vivere all'addiaccio, in quella che è una zona impervia e isolata, in montagna. Sono senza cibo, acqua potabile e rischiano ogni giorno di morire di freddo.
Occorrono: legna, coperte e un pasto caldo.
Ogni piccola offerta è importante!
Poi c'è padre Albano Allocco, della Congregazione Somasca. Nelle fredde notti di Baia Mare, città della Romania, attorno al suo furgone si affollano, per avere un piatto di minestra calda e un sorriso, adulti, ragazzi e bambini che non hanno casa e vivono per strada. ii sono aggiunti anche i migranti che seguono la rotta balcanica. Fra loro tanti sono i minori non accompagnati.
Il missionario cerca di aiutarne il più possibile, ma non è facile far sì che tutti abbiano un pasto e, dove possibile, un po' di ospitalità.
Occorrono: legna, coperte e un pasto caldo.
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