«Molte volte le persone rifiutano i bambini ammalati di Aids e non vogliono che i loro figli giochino o studino con loro; li isolano additandoli o ignorando la loro presenza». (Suor Nadia Monetti)
Aids è la sigla che sta per Sindrome da Immuno deficienza Acquisita, una malattia che si manifesta quando il sistema immunitario è talmente indebolito dal virus dell’immunodeficienza umana (Hiv) che l’individuo è soggetto a un gran numero di malattie o infezioni [Link]. È a partire dagli anni Settanta che appaiono casi isolati di Aids negli Stati Uniti e in numerose altre aree del mondo (Haiti, Africa ed Europa).
Nei Paesi occidentali l'accesso alle cure e i continui progressi in ambito medico e farmaceutico hanno posizionato l'Aids tra le patologie croniche, permettendo alle persone sieropositive di avere un’aspettativa di vita molto simile a quella della popolazione generica. Il virus non scompare ma è tenuto sotto controllo.
Per quale motivo, allora, nell'immaginario comune una diagnosi di Aids è ancora una condanna a morte?
La percezione della realtà è viziata sempre da una scarsa conoscenza della questione dovuta al forte pregiudizio sociale che influenza l’opinione pubblica. L'idea di fondo è che la persona affetta da Aids sia necessariamente ai limiti della società, con problemi di dipendenza da droghe e con una vita sessuale promiscua e quasi certamente omosessuale.
Il punto della questione è che la sieropositività non è una condizione connessa all'orientamento sessuale della persona ma a comportamenti sessuali non responsabili che pregiudicano il contagio indifferentemente dai comportamenti sessuali di ognuno.
Le scarse informazioni alimentano, perciò, il pregiudizio sociale e morale che poi confina queste persone tra gli scarti.
Certo è, però, che la diffusione della malattia è tale da essere oramai pandemica, ed è un importante problema sanitario in molte parti del mondo. Soprattutto nell'Africa occidentale, dove il contagio è diffusissimo (si stima che il 60% dei malati di Aids a livello mondiale viva in Africa). Uganda, Botswana, Zimbabwe, Kenya sono i Paesi più colpiti e, fra le vittime, tanti sono i giovani. Gli adulti muoiono lasciandosi dietro anziani e bambini, questi ultimi spesso sieropositivi, costretti a vivere in orfanotrofi o, nella peggiore delle ipotesi, per strada. Il destino dei bambini nati con l’HIV è già segnato: la metà di essi muore nei primi due anni di vita se non riceve trattamenti adeguati.
A Ndithini, piccolo villaggio a circa cento km da Nairobi [Link], nella casa di accoglienza Madre Ippolita, suor Nadia Monetti, delle Piccole Figlie di San Giuseppe [Link], si prende cura di bambini orfani, malnutriti, di cui la maggior parte ammalati di Aids. Di recente ci ha scritto manifestandoci una necessità: «Oso tendere nuovamente la mano e vi chiedo se potete collaborare per comperare una sedia dentistica. Il suo costo è di 7.000 euro. È una grande somma per noi, perché in tutto assistiamo 432 bambini, bambine, ragazzi e ragazze. Molti bimbi ammalati di Aids hanno i denti cariati dovuti alle forti medicine che prendono. Ndithini è un paese molto lontano dalla città e tante volte siamo costrette a fare chilometri di strada sterrata per portarli dal dentista.
Per questo abbiamo pensato di allestire un piccolo ambulatorio dentistico dove offriamo cure gratuite ai nostri bambini e anche agli abitanti del villaggio che hanno bisogno del dentista. Tanta è la povertà che la gente, quando ha male a un dente, usa l'acido di batteria per lenire il dolore. Quanti denti vengono disintegrati dall'acido, lasciando in bocca enormi piaghe!».
Curare i denti è essenziale per tutti i bambini. Soprattutto per questi piccoli che, se curati amorevolmente, possono riprendersi dallo stato di abbandono e di rifiuto da cui sono partiti. Ecco il ringraziamento da Suor Nadia: «Ogni volta che ho teso la mano a voi sempre ci avete sostenuto e offerto il meglio di voi stessi. Grazie carissimi, perché la vostra carità si fa preghiera e compassione e i bambini “di cenere” diventano belli e gioiosi».
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