Chi è stato di persona nella diocesi rurale di Chipata, sei distretti e 29 parrocchie, giura di aver lasciato lì un pezzetto di cuore. Tra capanne di fango e tetti in paglia, buoi che trainano ancora l'aratro, strade polverose, giganteschi baobab che offrono un riparo dalla canicola. E file di disperati che, stremati dall’arsura, bevono da grandi pozze di acqua fangosa che contiene batteri, escrementi di animali, insetti e scarafaggi.
Un gesto che a molti di loro costerà la vita visto che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’acqua contaminata uccide ogni anno più persone di una guerra, provocando malattie come tubercolosi, malaria, tifo, colera. Nei casi più “fortunati”, sono le ragazze a doversi occupare dell’approvvigionamento idrico per tutta la famiglia.
Per raggiungere le fonti più vicine devono camminare per ore e ore ogni giorno, trasportando poi fino al villaggio l’acqua raccolta in secchi e contenitori.
Gravate da questo arduo compito, non possono frequentare la scuola e sono inoltre esposte a vari pericoli, come aggressioni e violenze, durante il tragitto. Per fare fronte a quella che si configura come una vera e propria emergenza il vescovo di Chipata, monsignor George Lungo, molto attento alle necessità spirituali ma anche materiali della comunità, vorrebbe costruire dieci piccoli pozzi che, sparsi per il territorio diocesano, possano servire tutti gli abitanti delle parrocchie. Un modo per garantire quel «diritto umano all'acqua» sancito da papa Francesco, che ha però specificato: «Non tutta l’acqua è vita: solo l’acqua sicura e di qualità».
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[Idp 105909 del 1 dicembre 2023]
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