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Cuore Amico

Elasticitet - Resilienza: Fotoreportage Albania

Nell'ottobre 2021, nel chiostro di San Cristo in via Piamarta 9 a Brescia, è stata allestita la mostra fotografica "Elasticitet - Resilienza" del fotografo e reporter Matteo Biatta per Cuore Amico.


Matteo Biatta
Matteo Biatta, fotografo

 

Cuore Amico ha chiesto al fotografo e reporter Matteo Biatta di raccogliere una testimonianza in Albania. Ne è scaturito un diario di viaggio intenso e affascinante che è stato possibile scoprire visitando la mostra fotografica "Elasticitet - Resilienza" allestita nell'ottobre 2021 nel chiostro di San Cristo a Brescia.


«Più di un anno fa, il 14 febbraio 2020, sono partito alla volta dell'Albania per documentare fotograficamente l'attività missionaria delle Suore Maestre di Santa Dorotea e di don Gianfranco Cadenelli, aderendo a una richiesta fatta da Cuore Amico per gettare luce sull'importante opera di evangelizzazione svolta nelle loro missioni situate nella regione del Mat».


«Le Suore Dorotee hanno una comunità a Suç, villaggio abbarbicato sulle colline nell'entroterra albanese e don Gianfranco risiede a Baz, un borgo nelle vicinanze. Dal primo giorno ho seguito Dal primo giorno ho seguito i missionari (per le Dorotee c'era suor Chiara Pietta) nelle visite alle famiglie, importante momento per dimostrare vicinanza materiale e spirituale. Insieme ai missionari sono entrato in contatto con situazioni di povertà e sofferenza che credevo impossibili in un Paese che si trova nel territorio europeo, a poche ore dall'Italia: famiglie senza lavoro, in case senza luce né acqua corrente. Molte colpite anche dal terremoto che nel novembre del 2019 ha provocato danni molto seri. Le case hanno pareti con crepe profonde, i soffitti sfondati; le condizioni igieniche sono ovunque precarie.»

















«In particolare ricordo alcuni momenti. Dapprima l'incontro con una donna che vive con la figlia in una tenda procurata dalle religiose a fianco della loro casa, semidistrutta dal terremoto. Vivere in una tenda è estremamente duro: le condizioni igieniche sono del tutto inadeguate e il freddo entra nelle ossa facendo sentire i corpi sfiniti dalla stanchezza. All'ingresso mi ha accolto un odore di aria viziata, misto a cibo e vestiti sporchi. Le due donne sono state estremamente gentili e accoglienti e mi hanno mostrano con orgoglio il loro piccolo rifugio. Erano contente per essere riuscite a non abbandonare la zona grazie all'aiuto delle suore che hanno messo a disposizione il piccolo accampamento provvisorio.

Poi la visita a una famiglia la cui casa era gravemente danneggiata dal terremoto. Vi vivevano i due nonni con tre nipotini. I genitori non erano presenti; il nonno è l’unico che riesce a fare qualche lavoretto, oltre a coltivare l’orto per avere qualcosa da mangiare. Entrando in casa sono stato accolto dalla consueta cordialità (che ho trovato ovunque nel corso del mio viaggio). Mi sono subito reso conto della situazione precaria in cui vivevano. In una stanza di pochi metri quadri c’erano tre letti, sui quali dormivano i due nonni e i tre nipotini. La nonna era gravemente malata e il giorno successivo sarebbe stata trasportata in ospedale. I bambini, divertiti dalla presenza della mia macchina fotografica, giocavano con lo sguardo in direzione del mio obiettivo, e questo mi è servito affinché prendessero confidenza con me fino a quando ho potuto scattare senza che guardassero in macchina.
Lavorando in questi contesti vorrei sempre riuscire ad essere invisibile (come tutti i fotoreporter del mondo), ma so perfettamente che questo non è possibile. La mia presenza è reale e il mio lavoro è sempre viziato dal mio occhio, dalla mia testa, dal mio atteggiamento nei confronti della situazione che vivo; la fotografia imparziale non esiste.

Un pomeriggio siamo stati ospiti di una coppia anziana il cui marito, di 96 anni, si è esibito per me suonando la Ciftelia, uno strumento a due corde. È stato un incontro allegro che ha ripagato di tante fatiche e levatacce. In linea generale, l'umanità che ho trovato in queste persone che hanno aperto le porte della loro casa a uno sconosciuto a cui hanno offerto ospitalità, cibo e una forte stretta di mano, è stata incredibile.»













«Di giorno in giorno ho scoperto situazioni difficili sorrette da mani che aiutano in modo incondizionato, quelle dei missionari che si adoperano per restituire dignità e dare speranza. Così è anche nella cittadina di Burrel, dove si combatte la dispersione scolastica aiutando i ragazzi con il doposcuola per far sì che il loro futuro non sia segnato da disoccupazione, fame e delinquenza. Vi è anche un centro dove lavorano donne che vivono in condizioni di violenza familiare o abbandono da parte del marito. Grazie a piccoli lavori artigianali riescono ad avere un modesto reddito e a distrarsi per parte della giornata.

Il contesto in cui si trova questa zona del Paese è molto arretrato e non consente di proiettare lo sguardo verso il futuro: strutture fatiscenti del regime ed ex bunker, costruiti durante il periodo della quarantennale dittatura di Hoxha, sembrano far rimanere ancorato questo posto a un passato che non esiste più. Mi hanno colpito più di tutto i volti degli anziani a cui ho fatto dei ritratti: nelle rughe profonde ho letto i segni del tempo e delle vite tormentate dalla dittatura e dalla fame.

In compenso c'è un profondo senso di vicinanza tra persone di fede diversa che si percepisce ad esempio nel Santuario di S. Antonio, a Laç, dove vanno a pregare cristiani e musulmani, e nella città di Scutari, dove ho trovato una multiculturalità sorprendente con la convivenza pacifica tra cattolici, protestanti e musulmani evidenziata dalla moschea e dalle chiese costruite a poca distanza l'una dalle altre. Mi è sembrato un grande segno di civiltà e speranza.»







«Mi sono anche addentrato a testa bassa nelle viscere della miniera di Bulqize, cittadina a due ore da Burrel, sul cui lato collinare sorgono enormi miniere di cromo. Con la strada illuminata solo dalle torce frontali ho seguito un cunicolo giungendo a uno slargo dove i minatori estraggono ancora il minerale con la pala. Un lavoro molto duro che costituisce però risorsa dal valore inestimabile: uno stipendio sicuro in una società con difficoltà economiche profonde. Poco fuori dalla miniera alcune persone rovistavano tra gli scarti degli scavi, per cercare pezzi di cromo da rivendere alle società che gestiscono le miniere. Mi hanno detto che questa è un'attività appannaggio dei bambini.»











«Il mio viaggio si è concluso il 21 febbraio 2020, quando da Tirana sono rientrato in Italia. Al mio arrivo a Milano mi è stata misurata la temperatura corporea e sono stato invitato a disinfettare le mani. Iniziava in quel momento il calvario del Covid-19 che ancora oggi, in tutto il mondo, colpisce soprattutto i poveri. Il mio pensiero torna spesso alle persone che ho incontrato in Albania. Gente che lascia trasparire una tristezza di fondo per la sua condizione così difficile ma che, così disponibile, mi ha accolto senza riserve e non mi ha mai fatto sentire straniero.»






Aggiornato il 13 ottobre 2021  da M. Biatta   email | modifica | permalink



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